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Area Scienze sociali |
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Recensione
e Note di analisi su «LE ORGANIZZAZIONI», di RICHARD W. SCOTT - di Marina
Palmieri Punti chiave: prospettive dell’organizzazione;
obiettivi nelle organizzazioni; potere e autorità; teoria della dissonanza; management by objectives / gestione
per obiettivi; patologie dell’organizzazione; defezione vs protesta; efficacia dell’organizzazione;
flessibilità verso il pubblico; politica degli incentivi; indicatori per valutare
l’efficacia; misure dell’efficacia; variabili dell’efficacia; misure di processo; organizzazione
del lavoro; qualità del lavoro; microqualità; macroqualità;
complessità; complessità delle prestazioni. |
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rif.: «Le Organizzazioni», di Richard W. Scott - ed. Il Mulino, Bologna Edizione originale: «Organizations,
Rational, Natural and Open Systems» - Englewood Cliffs, Prentice-Hall,
1981 “Spesso, siamo schiavi di un principio generale che applichiamo senza riflettere a situazioni la cui complessità nasconde una verità che poteva invece essere rilevata da un approccio più accorto”. Richard W. Scott - «Le Organizzazioni» ●
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Un “sempreverde” questo studio sociologico delle organizzazioni, uno strumento prezioso per capire a fondo i meccanismi di nascita e di evoluzione anche di quelle organizzazioni economiche che sono le imprese. La parte dell’opera dedicata alle prospettive dell’organizzazione si sofferma su organizzazione come sistema razionale, organizzazione come sistema naturale e organizzazione come sistema aperto, illustrando poi i criteri per un’eventuale combinazione e integrazione delle prospettive organizzative. Di seguito Scott indaga la fondazione delle organizzazioni (come nascono, come si forma la decisione di organizzare, come vengono mobilitate le risorse), l’interdipendenza tra organizzazioni e ambiente, i confini sociali da gestire e superare. Di grande interesse anche per una migliore analisi dell’alto livello di complessità delle organizzazioni attuali sono le parti dedicate alle fonti di complessità strutturale, tra le quali il “nucleo tecnico” (tecnologia e struttura), l’ambiente operativo, le dimensioni, la struttura. E ancora: Che cosa sono gli obbiettivi? Chi stabilisce gli obiettivi nelle organizzazioni? L’interrogativo è messo a servizio di un esame dei sistemi di potere e autorità all’interno delle organizzazioni, vero “motore”, aggiungiamo qui, di quelli che vengono definiti i fini dell’organizzazione. Capitolo, quello dedicato appunto a “Fini, poteri e autorità”, denso di implicazioni che vanno ben al di là di quanto le organizzazioni possano definire e dichiarare formalmente. Sul punto, si veda per esempio la disamina delle teorie di alcuni studiosi che, come ricordato da Scott, «hanno messo in dubbio il presupposto tradizionale per cui gli obiettivi precedono l’azione». Così, citando Weick, studioso che si è soffermato in particolare sulla “teoria della dissonanza”: «La
razionalità è più comprensibile come evento post-decisionale piuttosto che
come evento pre-decisione. La razionalità dà un senso a ciò che è stato, non
a ciò che sarà. È un processo di giustificazione che serve a far sì che gli
atti passati appaiano razionali agli occhi di chi li ha compiuti e di quelle
persone davanti a cui egli si sente responsabile.» (Weich 1969, 38) L’analisi di potere e autorità all’interno delle organizzazioni prosegue, nello studio di Scott, servendosi di figure e concetti sociologicamente forti che, per ricordarne qui alcuni, includono quello di coalizione dominante, quello di leadership carismatica secondo l’interpretazione già originariamente formulata da Weber, quello della dipendenza reciproca (tipo di relazione in cui «un individuo può avere risorse importanti per un altro in un determinato ambito, ma essere dipendente dalla stessa persona che possiede risorse vincenti in un altro settore»), quello di struttura a «clan», e, prefigurato dallo stesso Scott come possibile modello per l’era post-industriale (l’era attuale – n.d.a.), il management by objectives o MBO, ovvero “gestione per obiettivi”. Quanto l’attualità di questo modello sia effettiva può essere desunta dalla citazione che Scott fa di Swanson, uno degli studiosi che più si sono soffermati sul management by objectives: «La dimensione, la complessità e le pressioni competitive favoriscono non soltanto la gestione per obiettivi, ma anche la gestione per mero amore degli obiettivi. Qualsiasi cosa possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi viene reputata di valore. Ogni cosa è soggetta ad essere abbandonata e cambiata nell’interesse di questi obiettivi, anche il modo in cui un’organizzazione è strutturata per svolgere la sua attività, il tipo di personale assunto e mantenuto, il genere di abilità e personalità giudicate appropriate (..)» L’ultima parte dell’opera di Scott è dedicata alle “Patologie dell’organizzazione” e a “L’efficacia dell’organizzazione”. Le patologie dell’organizzazione prese in esame includono: a) i problemi dei partecipanti, costituiti da alienazione e da ultraconformismo; b) i problemi per il pubblico, costituiti da insensibilità e da inflessibilità. Per quella “patologia” delle organizzazioni del settore privato individuata nell’opera come “mancanza di sensibilità nei confronti dei loro clienti e del pubblico in generale”, è interessante la distinzione operata da Hirschman in suo saggio del 1970 intitolato “Lealtà, defezione e protesta” tra, da una parte, la «defezione» (exit) che comporta l’abbandono della clientela (allorché, insoddisfatta, questa tronca il rapporto con un’impresa e ne cerca una più soddisfacente per i propri bisogni e/o interessi) e, dall’altra, la «protesta» (voice) definita «come qualsiasi tentativo di cambiare una situazione discutibile senza giungere a ritirarsi». Hirschman - fa notare Scott - sostiene che le imprese private traggono grandi benefici dal fatto che il pubblico si assuma l’onere di esercitare l’alternativa «protesta» piuttosto che quella della «defezione»; è in questo senso che va interpretata la politica degli incentivi - quale in effetti è quella sempre più diffusamente praticata dalle imprese private contemporanee (n.d.a.) - per incoraggiare gli utenti/clienti ad esercitare l’alternativa «protesta» prima di quella della «defezione». Politica aziendale, questa, evidentemente sospinta da un regime di libera concorrenza. Discorso diverso è quello dei «monopoli pigri», così come Scott, portando ad esempio le ferrovie sovvenzionate e i sistemi di istruzione pubblici, definisce la realtà delle aziende/organizzazioni pubbliche: nel mercato delle aziende in regime di monopolio, infatti, anche posto che un alcuni clienti più esigenti decidano di esercitare la «defezione», restano comunque i clienti meno esigenti, o che non hanno alternative, “a sopportare il peso dei servizi scadenti”. Questo differente livello di flessibilità delle organizzazioni/imprese nei confronti del pubblico porta a concludere che nelle imprese private (regime di libera concorrenza) il cambiamento è incalzato e favorito dalla “sensibilità a indicatori di tipo economico”, ovvero dall’interesse a non perdere la propria clientela e a non farla “dirottare” verso imprese concorrenti, mentre nel caso delle imprese pubbliche (regime di monopolio) a quei clienti che sono privi di alternative non resta, come ancora fa notare l’autore, che “utilizzare mezzi politici per trasformare le organizzazioni da cui non possono ritirarsi”. Quanto alle sezioni dedicate a “L’efficacia dell’organizzazione”, lo studio di Scott s’inoltra in un campo decisamente complesso, e la complessità è elemento intrinsecamente connesso al tema dell’efficacia organizzativa, a causa soprattutto delle grosse difficoltà che si pongono nel valutare e interpretare le misure dei risultati. Altri tipi di indicatori per valutare l’efficacia delle organizzazioni sono (oltre a quelli basati sui risultati) gli indicatori basati sui processi e gli indicatori basati sulle strutture. Ma anche l’applicazione di questi indicatori può presentare seri problemi di interpretazione. Il problema, come probabilmente molti dei lettori di questa sezione sapranno, resta un quesito aperto, e lo resta ancor oggi anche alla luce dei recenti sviluppi dei più avanzati modelli di “Total Quality”, ovvero di “Qualità Totale”, soprattutto in aziende come in particolare quelle ospedaliere, e più in generale quelle che offrono sul mercato i vari “servizi alla persona”, l’efficacia delle quali resta difficilmente valutabile sulla scorta di pur sofisficati modelli di valutazione, i cui risultati possono discostarsi anche sensibilmente da quella che è invece la mission dell’organizzazione stessa. Ancora con una digressione, è il caso di ricordare la frequente lagnanza, proveniente anche da parte di operatori di primo livello nell’organizzazione del tipo poco sopra considerato, di una eccessiva “aziendalizzazione”: non solo nei modelli di valutazione dell’efficacia dell’organizzazione, ma (questo il rischio più paventato) sinanche nella formulazione dei concetti che fino allora hanno informato il “nucleo teorico” della medesima. Questo è riferito all’Italia e al dibattito che ancor oggi investe il tema della valutazione dell’efficacia soprattutto nei settori più delicati delle “organizzazioni di servizi”. Ma è interessante notare che in altri Paesi occidentali la critica sugli studi di qualità delle terapie mediche è oggetto sin dai primi anni settanta di ampia letteratura; al centro della critica: le misure di processo, ossia quelle misure che giudicano lo sforzo piuttosto che l’effetto. Scrive Scott a tale proposito: «Le misure di processo si basano sul presupposto che sia noto quali attività sono richieste per assicurare l’efficacia delle prestazioni. Per esempio, gli studiosi della qualità delle cure mediche attualmente stanno mettendo in dubbio che ci sia una correlazione elevata tra l’attenersi agli standard attuali della pratica medica e i miglioramenti nei risultati ottenuti sul paziente (Brook 1973) o che l’intensità delle cure porti necessariamente ad un miglioramento dello stato di salute (Fuchs 1974)» E ancora, spiegando come sia necessaria una grande attenzione nell’adattare modelli di misure dell’efficacia ad ambienti specifici caratterizzati da prestazioni altamente complesse, e quanto questo non sia affatto semplice, nel libro si cita il lavoro di altri ricercatori sull’organizzazione del lavoro dei medici negli ospedali: «Neuhauser (1971) fa suo il principio di progettazione organizzativa largamente accettato secondo cui, quando il lavoro è complesso e incerto, i tentativi di controllare le prestazioni attraverso il ricorso a procedure molto particolareggiate, cioè un livello elevato di formalizzazione, abbasseranno la qualità del lavoro.» Più avanti, l’analisi sull’efficacia dell’organizzazione svolta da Scott evidenzia come economisti degli anni settanta abbiano sostenuto il “presupposto che la posizione di contrattazione di un’organizzazione rispetto al suo ambiente di input sia «funzione di tutte e tre le fasi del comportamento dell’organizzazione: l’importazione delle risorse, il loro uso (comprendente in esso la distribuzione e la lavorazione) e la loro esportazione in una forma di output che giovi all’acquisizione di nuovi inputs» (Yuchtman e Seashore 1967, 898). Un simile presupposto è, com’è noto, stato fatto proprio dai menzionati modelli di TQ (Total Quality) che hanno trovato una diffusa applicazione negli ultimi dieci anni circa, con i problemi dei quali si è accennato, difficili da risolvere, probabilmente, anche nell’immediato futuro, stante l’intrinseca difficoltà di valutazione di ciò che effettivamente è o non è qualità in organizzazioni che erogano prestazioni altamente complesse e, sul piano più precisamente metodologico, stante il fatto che variabili composite dell’efficacia richiederebbero: i) “variabili esplicative almeno altrettanto composite di quelle da spiegarsi” (Scott); ii) un’appropriazione correlazione tra le variabili stesse. Altro scoglio nella valutazione dell’efficacia resta il confronto tra il criterio di “microqualità” e quello di “macroqualità”. Applicando tale distinzione a delle organizzazioni di servizi, si avrà per esempio che nel caso di un’organizzazione medica, come fa presente Scott nel suo studio, è possibile valutare l’efficacia “sulla base dello stato di salute dei clienti che hanno usufruito dei servizi (microqualità) o dello stato di salute della popolazione che risiede nel territorio in cui ha sede l’organizzazione (macroqualità)”. In conclusione, il tema della “efficacia dell’organizzazione” si presta, nell’opera, a considerazioni ispirate alla massima cautela: i criteri adottati per misurarla sono sempre normativi e spesso controversi; gli stessi criteri per misurare l’efficacia delle organizzazioni non possono essere prodotti da un processo puramente oggettivo; le organizzazioni sono non soltanto dei sistemi tecnici; l’acquisizione di risorse e la sopravvivenza di un’organizzazione, ovvero la capacità che questa dimostra nell’adattarsi meglio al suo ambiente, «non sono sempre strettamente connesse alla qualità dei servizi offerti al pubblico che essa afferma di beneficiare» e non necessariamente favoriscono gli interessi delle componenti esterne. Piace qui terminare con una considerazione di Scott che, applicata all’argomento dell’efficacia delle organizzazioni, si presta validamente al più vasto campo di analisi e di osservazione che abbia per oggetto entità complesse, di natura socio-economica e non solo: “Spesso, siamo schiavi di un principio generale che applichiamo senza riflettere a situazioni la cui complessità nasconde una verità che poteva invece essere rilevata da un approccio più accorto”. Marina Palmieri [ 2006 ] |
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