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« Piergiorgio Odifreddi: UNA FIGURA DI
LOGICO-MATEMATICO E DIVULGATORE SCIENTIFICO CHE LASCIA IL SEGNO NELLA
CULTURA. » - di
Marina Palmieri, con intervista al prof. PIERGIORGIO ODIFREDDI - =
servizio giornalistico con intervista = < divulgazione
scientifica > [ Info Pubblicazioni > Bollettino
Cardiologico N. 131, Aprile 2005 ] |
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Piergiorgio
Odifreddi: UNA FIGURA DI
LOGICO-MATEMATICO E DIVULGATORE SCIENTIFICO CHE LASCIA IL
SEGNO NELLA CULTURA. - di Marina Palmieri, con
intervista al prof. PIERGIORGIO ODIFREDDI - Prosegue,
in queste pagine, il nostro incontro con alcuni personaggi che hanno
caratterizzato la II edizione della rassegna BergamoScienza. Dopo, quindi,
una prima panoramica su questa importante rassegna, nella quale in
particolare abbiamo avuto modo di soffermarci sulla figura di Kary Mullis,
Premio Nobel per la Chimica 1993 per la scoperta della PCR (“polymerase chain
reaction”, ossia “reazione a catena della polimerasi) (1),
dedichiamo un apposito spazio alla figura del professor Piergiorgio
Odifreddi. Presente alla giornata d’apertura di BergamoScienza, a fianco di
Kary Mullis nella relazione “Conversare di scienza”, il prof. Odifreddi ci ha
cortesemente rilasciato l’intervista che segue e che siamo lieti di
presentare ai lettori assieme ad alcune note su questo personaggio di spicco
nel panorama scientifico. Matematico di calibro internazionale, professore di
Logica dall’83 presso l’Università degli Studi di Torino, dall’85 presso
l’Università di Cornell e già presso le Università di Novosibirsk, Melbourne,
Pechino e Nanchino, insignito nel 1998 del Premio Galileo dell’Unione
Matematica Italiana e nel 2003 del Premio Peano di Mathesis, il prof.
Piergiorgio Odifreddi è da anni impegnato in una straordinaria opera di
divulgazione scientifica. Noto anche al pubblico degli schermi televisivi per
le sue lezioni sui grandi temi della scienza (come quelle del network
dell’Università di Nettuno), il prof. Odifreddi è autore di fortunati libri,
tra i quali ricordiamo qui: “Il Vangelo secondo la Scienza” (2), “Il
computer di Dio” (3), “La
matematica del Novecento” (4),
“C’era una volta un paradosso” (5), “Il
diavolo in cattedra” (6), “La
Repubblica dei numeri” (7),
“Zichicche” (8) e il
recente “Le Menzogne di Ulisse” (9). A
quanti, fra i lettori, abbiano già avuto l’occasione di imbattersi in alcune
pagine del professor Odifreddi non sarà certo sfuggito lo sguardo trasversale
che caratterizza le sue ricerche, le sue indagini. A quanti, invece, non
abbiamo ancora avuto tale occasione, basti per esempio già un minimo di
navigazione sul web (innumerevoli sono i siti dedicati agli interventi del
prof. Odifreddi) per rendersi conto di come argomenti scientifici anche tra i
più complessi – si veda per esempio alla voce meccanica quantistica, teorie
sull’origine dell’infinito e temi correlati – siano spiegati e argomentati in
modo tale da coinvolgere chiunque sia affascinato dal sapere scientifico (10).
Altrettanto coinvolgenti sono poi alcuni approdi di quell’indagare
scientifico che riguardano, più direttamente, l’ambito della fisiologia: ecco
allora, per esempio, che l’esplorazione chiama in causa i nostri processi
psichici, la percezione umana e i suoi paradossi, l’analisi delle possibilità
cerebrali fornita dai modelli informatici e molto, molto altro ancora sulla
nostra “macchina umana”. Che argomenti di questo tipo sappiano suscitare alti
livelli di coinvolgimento è un fatto che abbiamo rilevato già alla prima
giornata di BergamoScienza, quando, allora posti da Kary Mullis, autore fra
l’altro del best-seller “Ballando nudi nel campo della mente” (11),
alcuni di quegli stessi argomenti hanno visibilmente affascinato l’intero
pubblico in sala. Moderatore di Kary
Mullis, allora e come abbiamo già avuto modo di ricordare, proprio il prof.
Piergiorgio Odifreddi: moderatore ma anche “pungolo” estremamente efficace
nei confronti dello stesso Mullis, giacché l’incisività delle risposte di
Mullis è stata anche un riflesso dell’incisività delle domande del
logico-matematico Odifreddi, uno degli intellettuali più interessanti e
autorevoli del nostro tempo e da sempre propugnatore di un’idea di “cultura
unica” che non conosce limiti o steccati tra cosiddette discipline
umanistiche e discipline scientifiche. È allora
con questo spazio stavolta tutto dedicato a Piergiorgio Odifreddi che ci
riportiamo idealmente a quell’incontro: uno spazio con tutti i suoi limiti
intrinseci, ma con il quale (non senza raccomandare la lettura almeno di
qualche opera dello stesso Odifreddi) tentiamo almeno di offrire qualche
spunto di riflessione. L’universo
e la teoria dello “stato stazionario”. Professor
Odifreddi, una parte della Sua conversazione con Kary Mullis alla prima
giornata di BergamoScienza ha riguardato il tema dell’espansione dell’universo,
quindi la teoria del Big Bang e le teorie successive. Mullis si è detto a
favore della teoria dello stato stazionario. Qual è, a riguardo di tali
teorie, la Sua opinione? Io, se
dovessi scegliere tra la teoria del Big Bang e la teoria dello stato
stazionario, effettivamente sceglierei quella dello stato stazionario, che
ritengo preferibile dal punto di vista matematico. Questa teoria implica un
universo che è sempre uguale, che continua ad avere la stessa densità anche
se è in espansione, il che richiede la creazione costante di materia, ma –
come sottolineato proprio da Mullis a BergamoScienza - è molto più facile
immaginare una creazione continua di materia che non un’enorme esplosione di
materia primordiale. La
scienza, comunque, ha confermato che i riscontri sperimentali non funzionano
per lo stato stazionario. Quanto alla creazione costante di materia implicata
nello stesso modello dello stato stazionario, viene osservato (così come lo
stesso Mullis ha avuto modo di ricordare in occasione di BergamoScienza) che
non si sa nemmeno da dove arrivi questa materia.. Va
tenuto presente che oggi non c’è una cosmologia quantistica: finora c’è
soltanto quella relativista e sinora non si è pervenuti a una teoria
unificata della relatività generale e della meccanica quantistica. Ciò che io
penso è che quando si perverrà a questa unificazione allora le teorie
dell’origine dell’universo e della sua evoluzione saranno molto diverse dalle
attuali. Il lavoro di Stephen Hawking (il celebre astrofisico, noto soprattutto
per i suoi studi sui buchi neri – n.d.a.) va proprio in direzione di
questa “unificazione della fisica”. Nelle sue ricerche, Hawking propone già
adesso uno spazio-tempo senza confini, un modello di universo in cui non c’è
più alcun inizio. È così per la Terra: anche qui non c’è un punto d’inizio,
possiamo sì stabilire che vi sia un’asse e che, in relazione a questa, vi sia
un Polo Nord o il Polo Sud, ma se, per intenderci, cambiamo l’asse allora
cambia anche il resto..! Gli
indirizzi di ricerca di Hawking prospettano quindi cambiamenti importanti
nelle teorie sull’universo. E, torno a sottolineare, per chi come “outsiders”
indaga i problemi posti dalle teorie sull’universo la cosa più sensata è
aspettare che si pervenga a un’unificazione tra relatività generale e
meccanica quantistica. “Big
Bang”, ancora, o “grande botto”...
Quale critica sottende questa definizione della teoria della “grande
esplosione” primordiale sull’origine l’universo? La
definizione si deve all’astronomo inglese Fred Hoyle, autore della teoria
dello stato stazionario: fu lui a chiamare così la teoria della “grande
esplosione”, evidentemente in maniera denigratoria. “Big Bang”, infatti, vuol
dire “grande botto”. Hoyle diceva che in realtà quella teoria era un modo di
tradurre la mitologia biblica ebraico-cristiana nella scienza, ovvero che la
gente tendesse a credere nel “Big Bang” perché quella teoria riportava alla
mente le storie bibliche della Genesi.
Le
“coincidenze significative” e il principio di sincronicità. Nella prima giornata di
BergamoScienza, il premio Nobel per la Chimica 1993 Kary Mullis parlando
anche delle sue ricerche in campo astrologico si è soffermato sul “principio
di sincronicità” e, sempre secondo la definizione di Carl Gustav Jung, sulle
“connessioni significative”. Lei,
professor Odifreddi, che (lo ricordiamo per i lettori) non solo ha avuto con
Mullis una lunga conversazione anche a tale proposito, ma che, soprattutto,
come studioso e professore di Logica e di altre discipline scientifiche, da
sempre ha scritto molto anche su quest’argomento, cosa ne pensa? L’astrologia, devo dire la
verità, a me interessa poco, e le stesse considerazioni fatte da Kary Mullis
a proposito dei segni astrologici io sono portato a considerarle con un certo
distacco. Sicuramente interessanti, invece, sono tutti i teoremi e gli
esperimenti che, nel corso del tempo partendo dal problema delle “coincidenze
significative” già posto da Carl Gustav Jung, hanno dimostrato il principio
di sincronicità sul piano scientifico e che hanno consentito di elaborare una
nozione di connessioni non casuali e non causali, essenziale nel campo della
meccanica quantistica.
Dalle prime formulazioni sulle
“coincidenze significative” poste da Jung a oggi, quali sono stati dunque gli
esperimenti più importanti sulla sincronicità? Può ricordarci alcune delle
maggiori svolte scientifiche che hanno confermato l’infondatezza del cd.
“principio di causalità”, dimostrando che non è vero che fra due eventi
correlati debba esserci una causa comune? Dopo il paradosso di Einstein,
Podolsky e Rosen, ossia il famoso paradosso EPR, di fondamentale importanza è
stata la formulazione, nel 1964, del Teorema di John Bell. Bell riformulò il
paradosso EPR in maniera quantitativa, giungendo a dimostrare l’esistenza di
eventi correlati in maniera non causale. Altrettanto importanti sono state le
varie verifiche sperimentali sugli effetti sincronici compiute, dagli anni
Ottanta in poi, specie da Alain Aspect in Francia (vd. box con
estratto da libro P. Odifreddi – n.d.a.) Di grandissima importanza sono
poi stati, in quest’ultimi vent’anni, gli esperimenti che hanno permesso la
scoperta dell’”entanglement”: un fenomeno della fisica quantistica in virtù
del quale due particelle prima connesse, quindi “entangled" (predisposte
in una certa maniera) e poi divise, rimangono soggette a una «correlazione» a
distanza. Il fenomeno dell’entanglement quantistico è descritto molto bene in
un recente libro scritto dal matematico Aczel Amir D., dal titolo
“Entanglement". Il più grande mistero della fisica”. E in questo libro
viene spiegato come, a partire dal corpo di teoremi formulati negli anni
Trenta (il paradosso EPR venne pubblicato nel 1935) e poi attraverso i vari
esperimenti di meccanica quantistica compiuti in quest’ultimi venti anni, si
sia addivenuti a ulteriori importanti dimostrazioni del principio di
sincronicità, confermando l’esistenza di connessioni non casuali e non
causali. Quindi la sincronicità oggi non
è più soltanto un’ipotesi filosofica, o psicoanalitica nel caso di Carl
Gustav Jung, come poteva essere negli anni cinquanta quando venne dato alle
stampe il suo “l’interpretazione della natura e la Psiche” (il libro
venne pubblicato nel 1955, a quattro mani col premio Nobel per la fisica
Wolfgang Pauli). Le ipotesi formulate da Jung a proposito del principio di
sincronicità sono state dimostrate in fisica. E allora le relazioni causali di
cui ha parlato Kary Mullis? Quelle relazioni – sempre a detta dello stesso
Mullis – causali ma non casuali che potrebbero contribuire a spiegare le
relazioni tra performance e mese di nascita? Mullis ha spiegato che dai suoi
studi sulla distribuzione delle date di nascita tra le diverse professioni
sarebbero emerse relazioni significative, e ha poi ricordato che oggigiorno
ci sono industrie sperimentali che programmano su connessioni casuali
quantistiche e che arrivano a stabilire delle correlazioni fra cose o eventi
per i quali, prima, la possibilità di una relazione veniva esclusa in
partenza. Secondo
me, nel parlare di relazioni causali tra performance e mese di nascita
(ovvero di segno astrologico) Mullis non aveva ragione, ma probabilmente lo
dico perché gli studi di astrologia non mi interessano particolarmente. Però
l’aspetto più interessante della questione è che si può dimostrare
l’inesistenza di connessioni causali (inesistenza di una causa comune) fra
due eventi correlati. Questo è un aspetto importante del problema della
sincronicità, perché se quelle connessioni ci fossero, e qualunque esse
fossero, avrebbero delle loro caratteristiche minimali. I risultati
sperimentali però sono diversi, e sappiamo che connessioni di quel tipo non
ci possono essere. Quindi il problema è più sottile di quello che sembra: e
oggi le verifiche sperimentali ci confermano, torno a ricordarlo, l’esistenza
di connessioni non causali, e non invece di connessioni causali,
anche restando nell’ambito di quelle che Jung ha chiamato “coincidenze
significative”. Quindi quelle ci sono, e non c’è bisogno di scomodare
l’astrologia.. Va però anche detto che proprio su questo punto, allora, è
Mullis ad avere ragione: e ha ragione quando afferma che, se quelle
“coincidenze significative” ci sono in alcuni campi (come appunto il campo
dell’astrologia che lui studia da anni), perché mai non potrebbero esserci in
quelli quotidiani..
La percezione sensoriale:
limiti e paradossi. Come
riportato nel nostro primo servizio sulla rassegna “BergamoScienza”, parte
del dibattito “Conversare di scienza” tenutosi tra Kary Mullis e Piergiorgio
Odifreddi è stato dedicato al tema delle percezioni e quindi del ruolo che
nella conoscenza del mondo esterno hanno i nostri cinque sensi (le «cinque
piccole finestre che ci permettono di guardare fuori dal grande castello nel
quale siamo rinchiusi» – così lo stesso Mullis nel suo “Ballando nudi
nel campo della mente”). Un tema, questo, di implicazioni enormi
sul terreno scientifico, soprattutto in campi, come quello della fisica, nei
quali i problemi dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, che
evidentemente non possono essere affrontati con la limitata osservazione
diretta, sono affidati al linguaggio matematico e a strumenti di conoscenza
sempre più tecnologicamente raffinati, ben più potenti dei cinque sensi di
cui è dotato l’essere umano. Eppure, come i lettori più attenti probabilmente
ricorderanno, è stato proprio un argomento come quello delle percezioni ad
avere offerto a uno scienziato del calibro di Kary Mullis l’occasione per
parlare al pubblico di “BergamoScienza” di alcune esperienze insolite occorse
nella sua vita: esperienze che possono magari anche essere considerate
bizzarre, alcune delle quali decisamente “al limite” dei fenomeni naturali
(per esempio le cd. esperienze sul piano astrale e gli incontri con strani esseri
luminosi), altre invece ben più spiegabili con l’esistenza di particolari
proprietà di cui in fondo chiunque, pur senza esserne consapevole, ha da
sempre in dotazione naturale (è il caso, per esempio, della conduttività
della pelle, proprietà che adeguatamente sfruttata da Mullis gli consentì una
volta di riuscire ad accendere a distanza una lampada). Non ci ripetiamo,
ovviamente, con le considerazioni già sull’argomento espresse da Mullis a
BergamoScienza: giova però ricordare quel clima tanto carico di interrogativi
che le sue stesse narrazioni (e, aggiungiamo, le sue stesse riflessioni
esposte nel best-seller scritto all’indomani del ritiro del Premio Nobel per
la Chimica per l’invenzione della PCR) non possono non suscitare. E la
domanda, allora, che anche chi non sia necessariamente edotto in materia di
chimica e fisica è legittimato a porsi (e a porre) è: “Fino a che punto i
nostri sensi ci consentono di conoscere e definire il nostro mondo “reale”, e
fino che punto, invece, la nostra “realtà” può essere conosciuta attraverso i
cinque sensi?”. Più efficacemente, con la domanda formulata da Piergiorgio
Odifreddi e da questi rivolta, proprio in quell’incontro di BergamoScienza, a
Kary Mullis: “Fino a che punto possiamo fidarci dei nostri sensi?”. Ed è
proprio su questa domanda che abbiamo voluto indagare, per capire a quale
tipo di osservazioni dovesse in particolare essere ricondotto il problema (di
cui raramente si ha coscienza per ciò che riguarda il proprio sentire o
“percepire” quotidiano) di fino a che punto poterci “fidare” dei nostri
cinque sensi: un problema che riguarda molto da vicino gli interessi d’un
pubblico come quello di questa rivista, un pubblico appassionato alla
conoscenza di quella complessa “macchina” che è il corpo umano. In “C’era
una volta il paradosso – Storie di illusioni e verità rovesciate”,
Piergiorgio Odifreddi espone tale problema in alcuni capitoli dedicati ai
paradossi delle percezioni sensoriali, ricordando perché, nonostante queste
vengano comunemente immaginate come irrefutabili, in realtà “i sensi ci
ingannano in maniera inaspettata”, rendendoci a volte “vittime di veri e
propri paradossi percettivi”: «Questi paradossi mostrano come a uno stesso
stimolo possano corrispondere percezioni diverse, o a stimoli diversi
possano corrispondere percezioni uguali. Essi ci dimostrano che, da un
lato, le nostre percezioni non sono date e immediate, bensì dedotte e
mediate, e, dall’altro lato, che esse ci possono comunque fornire soltanto
un’immagine contingente del mondo, dipendente dalla particolare struttura
biologica fornitaci dai nostri a priori.» Così Odifreddi, il quale
poi, sottoponendo a minuziosa analisi le sedi dei nostri cinque sensi, il
loro funzionamento e i vari effetti prodotti, passa in rassegna i molteplici
paradossi fisiologici. Il repertorio, vastissimo, di quei paradossi ci fa
davvero considerare sotto una luce completamente diversa le percezioni che ci
arrivano dai nostri sensi, e ci fa scoprire di questi gli innumerevoli
“inganni”: inganni dati appunto dalle caratteristiche fisiologiche dei nostri
apparati sensoriali e dei quali, in genere, non si è neanche lontanamente
consci o dei quali, tutt’al più, si ha una conoscenza appena per sentito
dire. È il caso, fra i moltissimi citati nel libro, delle percezioni amodali,
cioè delle percezione in cui si sente o si vede qualcosa di non esistente:
come per esempio - spiega Odifreddi nel libro - nella sensazione dell’arto
mancante, quella che viene percepita per un po’ dopo aver subìto
un’amputazione, o come nella sensazione della fondamentale mancante,
altro fenomeno amodale ma in campo musicale, o, ancora, come nell’illusione
ottica del triangolo di Kanizsa, dove alcuni particolari del disegno e
in particolare le incisioni nei cerchi (vd.
immagine
sottostante, da noi ricostruita) vengono interpretati dal cervello come i
vertici di un triangolo, un “secondo” triangolo che invece non c’è. O al
contrario è il caso delle mancate percezioni di qualcosa di esistente, come –
spiega sempre Odifreddi – «accade anche per la vista, che rimuove le immagini
stabilizzate sulla retina» o, ancora, come per il suono uniforme e continuo
che dopo un certo tempo non viene più percepito coscientemente.
Ancora
in tema di illusioni visive, vi è poi una classe di paradossi che deriva
dall’arte figurativa, o meglio «dalle sue pretese di rappresentare, con mezzi
limitati, una realtà attuale o potenziale che li trascende». Così Piergiorgio
Odifreddi in “C’era una volta il paradosso”, il quale, soffermandosi
poi sulla geometria della percezione e spiegando come tutta una serie di
illusioni sia basata sul fatto che ci lasciamo facilmente ingannare da
elementi di disturbo, cita allora molti altri esempi, fra i quali quelli
riguardanti la percezione delle lunghezze scoperti da Fick nel 1851, come nel
caso (vd. sotto altra immagine) del
segmento interrotto che appare molto più corto del segmento che lo
interrompe, nonostante le loro lunghezze siano identiche.
Ma gli
esempi, ancora, delle “immacolate percezioni”, come con calzante ironia le
definisce Piergiorgio Odifreddi in quello che, nel libro, è l’omonimo
capitolo dedicato ai paradossi fisiologici, non si esauriscono certo in
quelli appena citati. Di grande interesse, ancora, sono i vari esempi
riguardanti la sensibilità ai capi elettromagnetici, e lo sono – va
sottolineato – anche perché la spiegazione dei fenomeni che proprio alla
sensibilità o percezione elettromagnetica sono connessi la dice lunga su
certe facili attribuzioni di “paranormale” e simili. Ecco, testualmente e a
tale proposito, un passo di Odifreddi:
Un
ulteriore tipo di paradosso sensoriale sul quale si sofferma l’attenzione del
professor Odifreddi è il cd. “paradosso fisiologico della religione”,
rappresentato dal legame talvolta esistente tra fattori elettrochimici e
varie manifestazioni riferite all’esperienza mistica, ovvero rappresentato da
quel fenomeno che, ancora con le parole di “C’era una volta un paradosso”,
viene spiegato come «L’imbarazzante fatto, cioè, che le tradizioni religiose
di tipo mistico possono essere indotte e riprodotte con mezzi
elettrochimici». In causa sarebbero quindi la stimolazione artificiale
ottenuta con mezzi e sostanze chimiche e quella ottenuta invece con sistemi
elettrici. Per il primo genere di stimolazione, Odifreddi si riferisce alla
«tradizione chimica del misticismo»: una tradizione, egli spiega, che «si
perde nella notte dei tempi» fra tutta una serie molto variegata di sostanze
assai note già nella storia antica (e che include il loto omerico così come
il vino bacchico, la canapa indiana così come la coca incaica, l’ayahuasca
amazzonica etc.), e alla quale col passare del tempo si sarebbero
affiancati vari altri mezzi come, per esempio, «la vasca di deprivazione
sensoriale, descritta da Richard Feynman (..) O il deserto (..) O la cella
(..) O i digiuni e le veglie. O le trances indotte da danze, canti o
mantra ossessivi.» Per il secondo genere di stimolazione Odifreddi si riferisce
invece alla «tradizione elettrica del misticismo»:
Osservando
che la stimolazione dei lobi temporali può avvenire anche in maniera
spontanea, per esempio nelle crisi epilettiche, Odifreddi cita esempi in cui
talune esperienze riportate come mistiche possono dirsi variamente connesse a
questo tipo di fenomeni fisiologici. Concludendo,
anche su questo argomento invitiamo il nostro pubblico ad approfondire le
indagini di Piergiorgio Odifreddi attraverso la lettura dei vari libri
scritti dallo stesso logico-matematico: una figura di studioso, ricercatore e
divulgatore scientifico fra le più “universalistiche” e intellettualmente più
sottili del nostro tempo. (2) “Il Vangelo secondo la Scienza”, di Piergiorgio Odifreddi, Einaudi 1999. (3) “Il computer di Dio”, di Piergiorgio Odifreddi, Cortina, 2000. (4) “La matematica del Novecento”, di Piergiorgio Odifreddi, Einaudi, 2000. (5) “C’era una volta un paradosso”, di Piergiorgio Odifreddi, Einaudi, 2001. (7) “La Repubblica dei numeri”, di Piergiorgio Odifreddi, Cortina, 2002. (8) “Zichicche”, di Piergiorgio Odifreddi, Dedalo, 2003. (10) Si segnala in particolare il sito: http://www.vialattea.net/odifreddi/ (13) cfr. Stephen W. Hawking “Dal Big Bang ai Buchi Neri” (op. cit.) ediz. BUR 2004, pp. 64-65. Marina
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